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In salute

Uso responsabile del farmaco veterinario in avicoltura, l’Efsa conferma

Un ottimo risultato per l’avicoltura europea ed eccellente nel caso dell’Italia, dove i residui di antimicrobici sono praticamente assenti.

Una diretta conseguenza del progressivo calo nell’impiego di tali sostanze negli animali. Vediamolo meglio assieme.

Avicoltura, progressi importanti. Un processo iniziato da tempo, nella scia della strategia One Health che tiene conto dell’interconnessione fra uomo, animali e ambiente sotto il profilo sanitario. Dal 2014 al 2021 il consumo di antibiotici in avicoltura è calato del 40%. Diminuita anche la frequenza dei fenomeni di antibiotico-resistenza. Ma facciamo un passo indietro: sono stati raccolti diversi campioni da analizzare, che sono stati portati in laboratorio per cercare residui di sostanze indesiderate di ogni genere, dai farmaci ai contaminanti ambientali. Nel mirino della ricerca tutti gli animali che producono alimenti per l’uomo: al primo posto i suini (testati 347mila campioni), poi i bovini (115mila campioni) e gli avicoli (65mila campioni). E poi ovini, pesci, uova, cavalli e ogni altro animale di interesse zootecnico. Un lavoro ciclopico che ha coinvolto 29 Paesi, ossia quelli dell’Unione europea più Islanda e Norvegia. Il risultato: appena un migliaio di campioni con residui oltre la norma su un totale di 600mila. In media lo 0,18%. È quanto emerge dal rapporto di Efsa, l’ente europeo per la sicurezza alimentare, pubblicato a fine febbraio 2024. Ciò che è stato rilevato è che i contaminanti ambientali sono stati riscontrati con maggiore frequenza (0,89%), mentre residui di farmaci veterinari si trovano raramente (0,13%). Per questi ultimi va inoltre notato che non si tratta di un uso illecito, ma più banalmente del mancato rispetto dei “tempi di sospensione”, ovvero del lasso di tempo fra l’ultima somministrazione del farmaco e la fine della carriera produttiva dell’animale. Confortante il dato sulle sostanze vietate, appena lo 0,1%. In nessun campione sì è trovata traccia di stilbenici (ormoni della crescita). I risultati sin qui raggiunti in campo zootecnico vanno tuttavia sostenuti e accompagnati da un impegno altrettanto forte in medicina umana, promuovendo un più attento uso degli antibiotici. Al contempo, va spronata la ricerca di nuove molecole ad attività antimicrobica. Un’attività che richiede forti investimenti e soprattutto tempo. Più tempo è quello ottenuto grazie a un impiego intelligente del farmaco veterinario, che sta frenando l’evoluzione dei batteri verso la resistenza agli antibiotici. Un risultato che non va disperso riducendo l’impegno in altri settori.

Numeri confortanti per il consumo di carne. I numeri sono confortanti lato europeo, ma in Italia va ancor meglio che in altri Paesi europei. Nei bovini l’unico caso di riscontro di un ormone (estradiolo) potrebbe trovare spiegazione nella presenza di una bovina in fase estrale, piuttosto che in un comportamento illecito. Sulle dita di una mano i residui di antimicrobici. Situazione analoga per i suini, dove sono poi del tutto assenti sostanze ad azione ormonale. Eccellente la situazione per le uova, dove non si è evidenziata alcuna irregolarità. Bene anche i polli, dove l’unico caso segnalato fa riferimento a una contaminazione ambientale. Dal 2014 al 2021 il consumo di antibiotici in zootecnia è calato del 40%, come conferma lo studio pubblicato di recente a firma di ECDC (centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), EFSA (ente europeo per la sicurezza alimentare) ed EMA (agenzia europea per i medicinali). Una riduzione che si è accentuata negli ultimi anni per contrastare i fenomeni di antibiotico resistenza sempre più frequenti.