Avicoltura: un modello vincente per le sfide della zootecnia italiana
7 giugno 2016Unaitalia, l’associazione nazionale di riferimento per il settore avicolo, propone una riflessione sulle sfide che attendono – tra criticità e qualche pregiudizio – il settore zootecnico italiano. E presenta uno studio Nomisma che per la prima volta mette in luce i fattori alla base del successo dell’avicoltura italiana
La zootecnia italiana sta vivendo un periodo storico di grandi sfide e profondi cambiamenti. Crisi dei consumi, allarmi alimentari, frammentazione del tessuto produttivo, stanno mettendo a dura prova un comparto fondamentale per l’economia del Paese. In questo difficile contesto di mercato, il settore avicolo è quello che ha tenuto meglio: negli anni in cui la negativa congiuntura economica e l’avanzata del vegetarianismo hanno influenzato i consumi delle famiglie italiane, determinando un calo della spesa per le carni e i derivati pari a -7,5% a valori costanti, i prodotti avicoli – unico esempio tra le carni – hanno visto aumentare, tra il 2009 e il 2015, i consumi (da 18,6 kg pro-capite a 20,2 kg), la produzione (+9%), la ricchezza prodotta dagli allevamenti (+27%) e quella prodotta dalla trasformazione (+6,2%).
Sulla base di questi positivi risultati, Unaitalia, l’associazione nazionale di riferimento per il settore avicolo, ha voluto promuovere una più ampia riflessione di filiera con l’obiettivo di disegnare un percorso di tutela e valorizzazione dell’intero patrimonio zootecnico nazionale. Punto di partenza, uno studio condotto da Nomisma sulla filiera avicola integrata, che, per la prima volta, ha analizzato in profondità i fattori di successo di un modello produttivo che in questi anni si è rivelato vincente. E che in sintesi vanno ricercati nelle forti radici agricole, nella pluralità di attori in un sistema fortemente integrato, nella totale autosufficienza e in una cultura dell’innovazione e della qualità capace di rispondere alla domanda di un consumatore sempre più esigente.
Lo studio di Nomisma racconta di un comparto che, grazie a una filiera dalla forte integrazione verticale, ha saputo sviluppare e diffondere efficacemente gli elementi qualificanti del proprio modello produttivo – tutela della sicurezza alimentare e del benessere animale, biosicurezza, sostenibilità ambientale – e rispondere così alle mutevoli esigenze del mercato e dei consumatori, sempre più orientati a prodotti ad alto contenuto di servizio, ma anche sempre più informati, consapevoli e sensibili.
“Abbiamo voluto mettere intorno ad un tavolo le istituzioni e i rappresentanti del mondo agricolo e della filiera – spiega il presidente di Unaitalia Aldo Muraro – ponendo al centro del dibattito l’esigenza di valorizzare le produzioni zootecniche nazionali e rivendicando il loro ruolo economico primario nel sistema agroalimentare. Vogliamo stimolare una riflessione sui modelli più adatti a sostenere le sfide del futuro, per disegnare un nuovo approccio ad una zootecnia sempre più sostenibile, con una crescente attenzione al benessere animale. Crediamo che l’avicoltura, con il suo sistema di integrazione di filiera che si è rivelato vincente – e su cui c’è forse scarsa conoscenza e qualche pregiudizio – possa rappresentare un interessante punto di riferimento per l’intero comparto zootecnico italiano”.
NOMISMA: LA FILIERA AVICOLA INTEGRATA È UNA RISORSA PER L’AGRICOLTURA E GIOCA A FAVORE DI IMPRESE E ALLEVATORI, MA ANCHE DEL CONSUMATORE E DELL’AMBIENTE
L’evoluzione strutturale e organizzativa del settore avicolo verso un modello integrato, costituito da pochi operatori di medie e grandi dimensioni che coinvolgono una moltitudine di imprese agroalimentari fortemente integrate lungo la filiera, è alla base del trend positivo che nell’ultimo decennio ha caratterizzato il valore della produzione avicola nel nostro Paese. La ricchezza prodotta dagli allevamenti della filiera – pari a 4,2 miliardi di euro nel 2015 – ha registrato infatti un sensibile aumento, in particolare nel periodo 2009-2015, in cui si è registrato un +27%.
Ma l’andamento positivo del settore avicolo negli ultimi dieci anni – spiega il rapporto Nomisma – è anche dovuto alla capacità da parte del sistema produttivo avicolo di interpretare il radicale mutamento delle abitudini di consumo degli italiani, che negli anni ’60 e ‘70 consumavano quasi esclusivamente pollo intero. A partire dagli anni ‘80 le preferenze si sono spostate sempre di più verso il pollo in parti (che nel 2014 ha rappresentato il 61% dei consumi di carne di pollo) e, parallelamente, verso quello lavorato e ad alto contenuto di servizio, che nel 2014 ha raggiunto il 28% del totale dei consumi di categoria, contro solo l’11% relativo al prodotto intero.
L’importanza socio-economica della filiera avicola per il sistema agricolo, e più in generale per l’agroalimentare italiano, è evidente. Secondo il rapporto Nomisma, nella fase primaria gli allevamenti avicoli assicurano l’8,5% del valore della produzione agricola italiana e il 4,2% degli addetti dell’intero comparto agricolo. In quella successiva di macellazione e trasformazione le imprese di lavorazione di carni avicole e produzione di uova rappresentano il 4,2% delle vendite e il 5,7% degli addetti dell’industria alimentare italiana.
L’integrazione di filiera adottata dall’avicoltura italiana offre più vantaggi agli allevatori, che possono beneficiare di garanzie non sempre presenti in agricoltura: un rapporto di collaborazione stabile nel tempo, un qualificato supporto tecnico-sanitario e, soprattutto, una maggior tutela da condizioni di mercato perturbate che colpiscono altri settori agricoli.
Parliamo di circa 18.500 allevamenti che impiegano 38.500 addetti, con produzione e occupazione in gran parte concentrati in 6.000 allevamenti professionali con almeno 250 capi, cui si affiancano un gran numero di allevamenti di tipo rurale distribuiti all’interno territorio nazionale.
La fase della trasformazione (macellazione, sezionamento e preparazione delle carni e lavorazione delle uova) è assicurata da circa 1.600 imprese agroindustriali, che danno lavoro direttamente a circa 25.500 addetti e che grazie alla filiera integrata possono contare su una base produttiva stabile con la quale investire per rispondere alle nuove esigenze della domanda.
Attraverso l’integrazione verticale le aziende avicole possono condividere e adottare rapidamente best practice ed implementare efficaci sistemi di autocontrollo che si integrano con le attività ispettive di monitoraggio e analisi delle autorità sanitarie pubbliche assicurate da oltre 4.500 veterinari pubblici presenti sul territorio nazionale.
Un esempio di come in una filiera integrata si possano favorire comportamenti virtuosi è offerto dai risultati raggiunti con il Piano nazionale per l’uso responsabile del farmaco veterinario e la lotta all’antibiotico-resistenza in avicoltura, elaborato da UNAITALIA, in rappresentanza delle filiere avicole, in collaborazione con la Società Italiana di Patologia Aviare, con la supervisione del Ministero della Salute. Il Piano, varato nel luglio 2015, ha carattere volontario, mira ad un uso razionale degli antibiotici in avicoltura per limitare l’insorgere di fenomeni di resistenza ed ha come obiettivo la riduzione dell’impiego di antibiotici negli allevamenti avicoli aderenti. L’obiettivo era di ridurre del 15% (rispetto al dato 2011) il consumo totale di antibiotici entro il 2015, e di arrivare a meno 40% nel 2018. L’obiettivo 2018 è stato già praticamente raggiunto, con una riduzione dell’indicatore di consumo per l’anno 2015 rispetto al 2011 del 39,95%.
Un altro esempio: con riferimento alla presenza negli animali vivi e nei prodotti immessi sul mercato di eventuali residui di sostanze anabolizzanti e farmaci veterinari (ad esempio antibiotici) lo studio Nomisma evidenzia come dalle ispezioni svolte nel 2014, a fronte di un ampio campionamento che ha coinvolto i diversi settori delle produzioni animali (bovini, suini, avicoli, ecc.), nel caso delle produzioni avicole la non conformità è stata limitatissima, pari allo 0,04%.
Risultati che si devono anche al sistema di norme dell’Unione Europea, più complete rispetto a quelle di altri paesi specializzati nella filiera avicola, come USA, Brasile e Tailandia.
PIÙ BENESSERE ANIMALE – Il modello avicolo italiano, basato sull’integrazione di filiera, rappresenta anche un valido strumento attraverso il quale è stato possibile sviluppare efficacemente le migliori pratiche per il benessere animale e diffonderle su ampia scala all’intera filiera: dall’adozione della ventilazione forzata ai fini di garantire un buon ricambio d’aria negli allevamenti, alle soluzioni e pratiche volontarie adottate dalle aziende avicole italiane per migliorare il benessere degli animali durante il trasporto e ridurne lo stress. Ad esempio, la forte specializzazione geografica dell’avicoltura italiana (con allevamenti localizzati a breve distanza dagli impianti di macellazione) consente tempi medi di trasporto degli animali compresi tra le due e le quattro ore, una tempistica nettamente inferiore rispetto a quella massima (12 ore) prevista dalla normativa di riferimento.
MINOR IMPATTO SULL’AMBIENTE – Le carni avicole, all’interno della categoria degli “alimenti proteici non derivati dal latte”, rivestono un ruolo preminente tra quelle che impattano meno sull’ambiente. Infatti, le caratteristiche intrinseche delle specie avicole, in primis l’elevato indice di conversione degli alimenti e l’assenza di processi fermentativi, rende i prodotti dell’avicoltura tra i meno impattanti di questa categoria.
Tra i player della filiera avicola italiana è prassi diffusa l’attuazione, lungo tutta la filiera produttiva, di interventi di efficienza energetica tesi ad aumentare il risparmio energetico e a contenere le emissioni di CO2 in atmosfera: si va dall’eliminazione degli sprechi di prodotti, materiali e risorse idro-energetiche all’implementazione di sistemi di monitoraggio dei consumi, per arrivare all’utilizzo, laddove consentito, di acqua di recupero opportunamente trattata oppure all’uso di illuminazione a LED. Anche lo sviluppo di progetti nel campo delle energie rinnovabili coinvolge tutti i principali operatori della filiera avicola. Come per esempio l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli allevamenti e degli stabilimenti, la costruzione di impianti per la produzione di biogas o l’utilizzo di scarti di lavorazione e acque reflue.